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Il sofosbuvir come “caso” dei nuovi farmaci in equilibrio tra etica, economia e profitto

Le terapie innovative per il trattamento dell’epatite C stanno penetrando sul mercato, una dopo l’altra, com'era atteso. Il sofosbuvir è stato il primo in ordine di tempo, ma altre molecole e combinazioni di farmaci sono già state approvate in Europa (e negli Stati Uniti) o hanno ricevuto parere positivo dal Comitato di Valutazione per i Medicinali per Uso Umano (CHPM) dell’EMA. Si tratta di terapie dal potenziale terapeutico rilevante, ad alto costo e coperte da brevetto.

Da gennaio 2014 (data di autorizzazione all’immissione in commercio del sofosbuvir nell’Unione Europea) ad oggi, il mercato dei farmaci per il trattamento dell’epatite C non è più monopolistico. La ricerca e la sperimentazione clinica in questo campo (e prossimamente anche in altri, con i nuovi farmaci del Sistema Nervoso Centrale, antitumorali e antidiabetici su tutti) stanno finalmente fornendo ai pazienti trattamenti sempre più efficaci, semplificati nelle modalità di assunzione e potenzialmente più sicuri, che in alcuni casi, come per l’epatite C, promettono di eradicare la patologia.

Per i sistemi sanitari pubblici, la cui tenuta sarà messa a dura prova dall'ondata di nuovi farmaci, l'impegno per garantire una copertura totale dei pazienti che hanno bisogno di questo tipo di terapie impone scelte partecipate ma rigorose nella valutazione dell’innovatività e del beneficio terapeutico aggiunto, nella determinazione del prezzo, nell’individuazione dei criteri di accesso progressivo ai farmaci e nel monitoraggio post-marketing dei profili di efficacia e sicurezza nella pratica clinica reale.

L’AIFA, in accordo con il Ministero della Salute, ha scelto la via del confronto pubblico coinvolgendo pazienti, medici, società scientifiche e produttori; ha dialogato con le altre Agenzie nazionali per individuare strategie condivise e ha chiesto a tutti gli interlocutori di considerare il "caso sofobuvir" non come un evento isolato cui dare risposte affrettate e condizionate dall’emotività, ma piuttosto come un'opportunità per sperimentare nuovi paradigmi in grado di affrontare il mutamento dello scenario globale dei farmaci, secondo un approccio scientifico-regolatorio-economico ma anche etico-sociale.

L’AIFA è stata la prima Agenzia europea ad affrontare con grande vigore la questione del prezzo del Sovaldi (ma lo stesso è avvenuto anche negli Stati Uniti, come abbiamo già riferito in questo editoriale) e a ritenere la richiesta iniziale dell’azienda produttrice eccessiva e improponibile, sotto il profilo etico oltre che finanziario, invitando pubblicamente Gilead a riconsiderare la proposta, anche alla luce degli insperati profitti che si profilavano grazie al farmaco. Profitti che si stanno concretizzando.

Secondo il report dell’Azienda relativo ai risultati finanziari del terzo trimestre 2014, ad oggi sono stati trattati con Sovaldi circa 117.000 pazienti, e il lancio del farmaco (dicembre 2013) ha consentito di incrementare di oltre 3 miliardi di dollari le vendite di prodotti antivirali dell’azienda rispetto allo stesso periodo del 2013. In particolare, le vendite di Sovaldi nel terzo trimestre – 2 miliardi e 800 milioni di dollari di cui 2 miliardi e 200 milioni in USA, 523.5 milioni in Europa e 73 milioni in altri paesi) – hanno portato a 8 miliardi e mezzo di dollari il fatturato realizzato con il farmaco dall’Azienda nei primi nove mesi del 2014 (7,3 miliardi in USA, 1,1 miliardi in Europa e 134,5 milioni di dollari in altri paesi), il che proietta il ricavo di sofosbuvir a 11,3 miliardi di dollari nel primo anno di lancio. Oltre 10 volte il valore di quanto erano riuscite a fare le migliori molecole sino ad ora. Ciò equivale a 944 milioni di dollari al mese, quasi 31 milioni al giorno, circa 1.300.000 dollari all’ora. Sono cifre che fanno riflettere. Almeno a noi.

Nel condurre la trattativa con l'Azienda, l'AIFA non si è mai focalizzata esclusivamente sul sofosbuvir, che al momento dell'avvio della negoziazione, era, come detto, l'unico sul mercato, ma ha tenuto conto dei nuovi farmaci in via di registrazione, che avrebbero rappresentato più che valide alternative terapeutiche e i cui costi sarebbero largamente dipesi dal prezzo di riferimento negoziato per il sofosbuvir. La strategia dell’AIFA – osservata con attenzione anche all’estero – è stata quindi indirizzata fin dall’inizio a porre le basi per un piano farmaceutico ambizioso per l’eradicazione dell’epatite C nei prossimi anni.

Ciò ha permesso all'Agenzia di chiudere l'accordo per la rimborsabilità del Sovaldi nel rispetto dei tempi auspicati dal Ministro della Salute e in modo da consentire il trattamento del più grande numero di pazienti a un pezzo medio più basso rispetto al resto d’Europa, tenuto conto della più alta prevalenza della patologia in Italia e della stretta correlazione tra i due parametri (prezzi e volumi). I criteri progressivi di appropriatezza sonno stati specificati dalla Commissione Tecnico Scientifica, dove aver ascoltato la voce dei pazienti e il parere degli specialisti.

Con lo stesso approccio globale, allo scopo di aumentare e accelerare l’accesso alle terapie antiepatite C, l'AIFA ha anche definito i criteri per il programma d’uso terapeutico della combinazione interferon-free ABT-450/r-ombitasvir e dasabuvir di AbbVie (che si aggiunge al programma di uso compassionevole su base nominale già attivato da parte dell'Azienda) e ha reso noti i centri clinici presso cui il programma sarà attivato in tutto il Paese. Si ribadisce che i centri che non fossero presenti in questo primo elenco possono fare richiesta per essere inclusi direttamente alla Direzione Medica di AbbVie.

L'onere enorme dei farmaci per l'epatite C sui bilanci sanitari pubblici è strettamente connesso, come detto, alla prevalenza della malattia tra la popolazione. È evidente che, con l'arrivo degli altri anti-infettivi, dei farmaci per l'Alzheimer, per il pre-Alzheimer e per le demenze in genere, dei nuovi antitumorali, antidepressivi e antidiabetici (solo per citare alcuni esempi), destinati anch’essi a centinaia di migliaia di pazienti, il sistema pubblico nel suo complesso rischia contraccolpi strutturali potenzialmente in grado di portarlo al collasso. E tuttavia, non si possono certo chiudere le porte all'innovazione vera né, tantomeno, alle speranze di cura dei malati.

Conciliare la promozione della ricerca e della competitività e la valorizzazione dell'innovazione con l'accesso ai nuovi farmaci e la sostenibilità del sistema è un'impresa ardua, specie in una realtà come quella del nostro Paese, in cui lo Stato si assume l'onere di oltre il 70% della spesa per farmaci e ambisce a rimanere universalistico e solidale nell'assistenza sanitaria. Mantenere questo equilibrio richiede a tutti una riflessione etica sul sistema di valori della società più in generale. Ai decisori spetta il compito di stabilire quanto si è disposti a pagare e per cosa, ai produttori di fissare l'asticella del profitto, immancabile quando si tratta di farmaci realmente innovativi e destinati a popolazioni numerose e ai prescrittori e ai pazienti di trovare il giusto compromesso tra i diritti di tutti alle cure, tenendo conto della rilevanza etica e sociale dei "beni" in questione e della possibilità concreta che possano essere assorbiti dal mercato e ripagati dai sistemi pubblici.

Fonte: agenziafarmaco.gov.it

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