Epatite, inizia la battaglia
Per quanto riguarda le patologie del fegato la valle occupa un poco invidiabile primato a livello regionale
Epatite, inizia la battaglia
L’Asl programma uno screening e una campagna informativa
di Ermete Giorgi
Come «Bresciaoggi» aveva annunciato, pochi giorni fa in Valcamonica è stata avviata una campagna dell’Asl camuno-sebina per la prevenzione e la cura del tumore al colon. Proprio in occasione della presentazione del nuovo progetto sanitario, i vertici dell’Azienda avevano fatto cenno a un’altra e serissima emergenza locale: i camuni occupano purtroppo posizioni di primo piano per quanto riguarda l’incidenza, mortale, di cirrosi epatica e tumori al fegato.
Il problema è stato analizzato da Luigi Pasquale, medico responsabile del servizio prevenzione.
«Le malattie croniche del fegato sono una importante realtà nella nostra Asl - esordisce il tecnico -, nell’ambito della quale si registra la più alta mortalità della Lombardia». Oggi sono note le cause più importanti: le infezioni da virus dell’epatite «B» (in sigla Hbv) e dell’epatite «C» (in sigla Hcv) e un consumo elevato di alcool. Particolarmente devastante è poi l’associazione tra affezione epatica e alcoolismo.
Mentre il ruolo dell’epatite B va diminuendo grazie all’introduzione, da più di dieci anni, della vaccinazione, è in continua crescita il numero di soggetti con malattia causata dall’epatite C. Questo virus è stato definito un killer silenzioso: l’infezione si contrae in modo occulto (spesso in passato per pratiche sanitarie, anche odontoiatriche, eseguite con aghi o strumenti non sterili), rimane silente a lungo per poi manifestarsi improvvisamente con quadri di una grave malattia.
Attualmente la medicina non dispone di un vaccino per questo tipo di epatite, ma esistono terapie efficaci, purchè siano avviate in fase precoce. Da tutto questo la necessità di scoprire i cosiddetti «portatori asintomatici», quando ancora l’infezione è latente, mediante un semplice esame del sangue.
Un discorso a parte per l’intero solco montano dell’Oglio lo merita poi il consumo elevato di bevande alcooliche. Un’antica, significativa canzone, ancora cantata, ricorda che bevevano padri e madri e conclude sostenendo «…e noi che figli siamo, beviam, beviam, beviamo!». Non si tratta purtroppo solo dell’ultima strofa d’un ritornello famoso: è la sbrigativa conclusione che, a parziale discolpa, ingenuamente cerca plausibili giustificazioni al bere, chiamando a deporre in favore persino il comportamento di parecchie generazioni di avi.
Fra una piega e l’altra del carme rustico serpeggia il malcelato orgoglio di celebrare, coi riti di Bacco, una sorta di pagana liturgia che, in un certo senso e in qualche modo, esalta la virilità, sempre così tenuta d’occhio dalla gente di montagna. Allora, cosa si può fare? Innanzitutto informare. Secondo il nostro interlocutore, il dottor Pasquale, si è già in zona pericolo quando si superano i 60 grammi di alcool al giorno (pari a circa 4 bicchieri di vino). Poi sarebbe necessaria una maggiore collaborazione tra medici di medicina generale (di base, o di famiglia) per un buon iter diagnostico e terapeutico: «…alla luce delle raccomandazioni internazionali, il livello di conoscenza e di applicazione delle linee guida da parte dei medici è modesto - assicura l’esperto -, come testimoniato dall’ampio ricorso a test di laboratorio inutili e costosi e ai ricoveri ospedalieri».
E’ indispensabile anche una stretta collaborazione con specialisti ospedalieri universitari. Infine, la raccolta accurata dei dati sulla frequenza di malattie epatiche croniche e sulle loro cause consentirà di avere un quadro completo dell’epidemiologia a livello di popolazione, e sarà il primo passo per l’istituzione di un osservatorio permanente su queste patologie in Valcamonica.
«Per tutti questi motivi - cocnlude il responsabile della prevenzione dell’Asl - si ritiene che oggi sia prioritario realizzare un programma coordinato di screening mirato delle malattie epatiche, e di gestione dei pazienti con infezione da virus e con abuso di alcool, per la prevenzione delle complicanze più gravi».
Il programma in questione sarà realizzato con la collaborazione di operatori sanitari dei più diversi settori: i medici di medicina generale, gli specialisti del servizio di Epatologia dell’ospedale di Esine, la clinica di Malattie infettive e la cattedra di Igiene dell’Università statale di Brescia. Gli obiettivi? Promuovere la diagnosi precoce e ottimizzare l’assistenza sanitaria. I risultati attesi? L’identificazione dei pazienti a rischio, il miglioramento dell’assistenza, l’istituzione di un’attività formativa per i medici e l’ottimizzazione delle risorse impiegate.