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Sviluppo di resistenze

Lo sviluppo di resistenza alla rifaximina è rappresentato principalmente da un’alterazione cromosomica one-step reversibile nel gene rpoB che codifica l’RNA polimerasi del batterio. Gli studi clinici sulle variazioni nella sensibilità della flora intestinale in pazienti con diarrea del viaggiatore non hanno rilevato l’insorgenza di organismi farmaco-resistenti gram-positivi (p.es. enterococchi) e gram-negativi (E. coli) durante un ciclo di trattamento con rifaximina della durata di 3 giorni. Lo sviluppo di resistenza nella normale flora batterica intestinale è stato studiato con la somministrazione ripetuta di dosi elevate di rifaximina in volontari sani e pazienti con malattia infiammatoria intestinale. Si sono sviluppati ceppi resistenti alla rifaximina ma instabili, che non hanno colonizzato il tratto gastrointestinale o sostituito i ceppi sensibili alla rifaximina. Con l’interruzione del trattamento i ceppi resistenti sono scomparsi rapidamente. Dati clinici e sperimentali suggeriscono che il trattamento con la rifaximina in pazienti portatori di Mycobacterium tuberculosis o Neisseria meningitidis non seleziona resistenti alla rifampicina. La rifaximina è un agente antibatterico che non viene assorbito. Non è possibile utilizzare test di sensibilità in vitro per stabilire in modo affidabile la sensibilità o la resistenza batterica alla rifaximina. Attualmente non sono disponibili dati sufficienti a supportare la definizione di un breakpoint clinico per i test di sensibilità. La rifaximina è stata testata in vitro su diversi patogeni, inclusi i batteri che producono ammoniaca come Escherichia coli spp, Clostridium spp, Enterobacteriaceae spp., Bacteroides spp. A causa del trascurabile assorbimento nel tratto gastro-intestinale, la rifaximina non è clinicamente efficace nei confronti dei patogeni invasivi, anche se questi batteri sono risultati sensibili in vitro.

Efficacia clinica

L’efficacia e la sicurezza della rifaximina somministrata alla dose di 550 mg due volte al giorno a pazienti adulti in remissione da encefalopatia epatica sono state valutate nello studio RFHE3001 di fase 3, randomizzato, in doppio cieco, controllato verso placebo, della durata di 6 mesi.
299 soggetti sono stati randomizzati al trattamento con la rifaximina 550 mg due volte al giorno (n=140) o il placebo (n=159) per 6 mesi. Più del 90% dei soggetti di entrambi i gruppi ha ricevuto in concomitanza lattulosio. Non sono stati arruolati pazienti con punteggio MELD >25. L’endpoint primario era rappresentato dal tempo trascorso dall’inizio del trattamento fino all’insorgenza del primo episodio di riacutizzazione di encefalopatia epatica conclamata durante il trattamento, in seguito al quale i pazienti dovevano uscire dallo studio. Trentuno soggetti su 140 (22%) del gruppo trattato con la rifaximina e 73 soggetti su 159 (46%) del gruppo trattato con il placebo hanno sviluppato un episodio di riacutizzazione di encefalopatia epatica conclamata nell’arco dei 6 mesi di studio. La rifaximina ha ridotto il rischio di riacutizzazione di encefalopatia epatica del 58% (p< 0,0001) e il rischio di ospedalizzazione per encefalopatia epatica del 50% (p< 0,013) rispetto al placebo. La sicurezza e la tollerabilità a lungo termine della rifaximina 550 mg somministrata due volte al giorno per un periodo minimo di 24 mesi sono state valutate in 322 soggetti in remissione da encefalopatia epatica nell’ambito dello studio RFHE3002.

152 soggetti provenivano dallo studio RFHE3001 (70 del gruppo trattato con la rifaximina e 82 del gruppo con il placebo), mentre 170 soggetti erano nuovi al trattamento. L’88% dei pazienti ha ricevuto in concomitanza lattulosio. Il trattamento con la rifaximina per periodi fino a 24 mesi (studio di estensione in aperto RFHE3002) non ha determinato una perdita di effetto in termini di protezione dagli episodi di riacutizzazione di encefalopatia epatica conclamata e di riduzione dei casi di ospedalizzazione. L’analisi del tempo al primo episodio di riacutizzazione di encefalopatia epatica conclamata ha evidenziato il mantenimento a lungo termine della remissione in entrambi i gruppi di pazienti (quelli già in trattamento con la rifaximina e quelli nuovi al trattamento).

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